
La sottrazione del telefono alla moglie configura il reato di rapina ed è legittimo l’arresto: in questi termini si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 26982 dell’11.09.2020 (dep. 28.09.2020).
Il caso di specie ha riguardatol’impugnazione da parte del Procuratore della Repubblica dell’ordinanza con la quale il Gip del Tribunale di Napoli Nord non aveva convalidato l’arresto dell’indagato,eseguito dalla pg perché indiziato del delitto di rapina di un telefono cellulare sottratto al coniuge, da cui era in fase di separazione, in occasione di un incontro finalizzato al ritiro degli effetti personali della donna dall’abitazione familiare.
Difatti il giudice interessato della convalida aveva ritenuto il fatto sussumibile non già nella fattispecie di cui all’art. 628 c.p., per la quale sarebbe stato consentito l’arresto ex art. 380 c.p.p., bensì in quella di cui all’art. 393 c.p., disciplinante il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
Ebbene, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, investita dell’impugnazione e ritenuto il ricorso fondato, ha annullato senza rinvio l’ordinanza posta alla sua attenzione. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto la motivazione adottata dal Gip affetta da violazione di legge, nella parte in cui non individuava quale fosse stata la pretesa tutelabile davanti alla autorità giudiziaria e rispetto alla quale l’indagato avrebbe ritenuto farsi giustizia da sé, per mezzo della sottrazione del telefono cellulare alla moglie. Né poteva eccepirsi, ha aggiunto la Corte, che l’esecuzione delle riprese da parte della donna con il cellulare, peraltro di sua proprietà, avesse potuto costituire condotta illecita in grado di procurare danni a terzi; ipotesi, quest’ultima, che quandanche fosse stata ritenuta sussistente dall’indagato in buona fede, comunque non gli avrebbe consentito altro rimedio, se non il solo risarcitorio.
Invero, ai fini della configurabilità dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. Tale pretesa, poi, deve corrispondere all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico e non finalizzata ad ottenere un qualsiasi quid pluris dal momento che ciò che caratterizza il reato in esame è la sostituzione, da parte dell’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (in questi termini anche Cass. pen. Sez. II, del 28.06.2016, n. 46288).
D’altronde giova sottolineare come anche la dottrina maggioritaria presuppone a fondamento del reato di cui all’art. 393 c.p. proprio la tutela del monopolio giudiziario nella risoluzione delle controversie tra privati, a discapito della giustizia privata.
Sulla scorta di quanto detto ne deriva che l’analisi di volta in volta dell’elemento soggettivo può consentire il distinguo tra la fattispecie di cui all’art. 393 c.p. e quella di cui al 628 c.p., atteso che per l’ipotesi della rapina, ravvisabile nel caso di specie, la violenza è esercitata per un diritto che non compete al soggetto agente.
(Dott.ssa Immacolata Macrì)
(Avv. Lucio della Pietra)